Telecronaca di uno stupido referendum

“Amore, amore!! Hanno votato Leave!!!”

Con queste parole intrise di panico e shock la mia ragazza mi svegliò all’improvviso la mattina del 24 giugno 2016. Erano le sei, e lei torreggiava sopra di me mentre io cercavo di capire chi e dove fossi.

“..ma come…hanno votato…Leave…” – biascicai con la voce impastata.
“Ed ora?! Che succede?” – continuò lei agitata.
Mi tirai su e cercai a tentoni il cellulare, aprendo l’app del Guardian sull’iPhone.
Cominciai a leggere mentre una home page affollata di titoli rossi con scritto “Breaking News” si caricava.
Man mano che scorrevo le pagine la notizia diventava sempre più reale: quegli idioti avevano veramente votato Leave, 51.9% vs 48.1%.

Non ci potevo credere; ero andato a letto dicendomi “ma sì, vedrai che sarà un risultato magari risicato, ma andrà bene” ed invece no, gli inglesi avevano deciso di uscire dall’Unione Europea. Mentecatti.

Mi vestii in fretta e furia passando la maggior parte del tempo incollato al cellulare, leggendo le notizie che arrivavano con il contagocce (d’altronde erano le 6:30, e va be’ che “il mattino ha l’oro in bocca”, va be’ che stai all’estero e quindi la gente al lavoro presto ci va per davvero però comunque c’è un limite a tutto) fino a che Cameron non decise di tenere una conferenza stampa alle 9.

Il resto è storia. Un paese mandato alla deriva, senza comandante e senza direzione, in una delle tempeste politiche più grandi degli ultimi anni. Se non fosse stato che non vedevo il sole da 8 mesi, avrei pensato di essere rimasto in Italia (perché “te pare che all’estero fanno ste cazzate?”); invece no, a giudicare dalle scritte agli incroci (“Look both ways”) e dal costante “Mind the gap, please”, ero proprio nel Regno Unito.

Aldilà delle paure concrete (Cosa ne sarà del mio futuro? Rimanere qui richiederà complicati passaggi burocratici al limite dell’impossibile? Continuerò ad avere offerte di lavoro?) la sensazione più angosciante era il sentirsi improvvisamente rifiutato.

Dal giorno alla notte (letteralmente) uno dei paesi più multiculturali e progressisti del mondo ci faceva sentire come dei corpi estranei da rimuovere.

Per fortuna, un’analisi più approfondita rivelava quello che forse sapevamo già: non era stata la Londra dall’incredibile numero di comunità straniere a votare Leave, bensì la working class delle piccole città, delle realtà economicamente alla rovina da anni; tutte quelle persone che – a torto o a ragione – si sono sentite dimenticate dai loro stessi politici e hanno sentito che incolpare l’UE e i suoi cittadini sarebbe stato più facile che prendere coscienza dei limiti del proprio paese.

Improvvisamente il Regno Unito era diventato un paese xenofobo e le prime pagine parlavano di attacchi a sfondo razzista a persone dalla provenienza più disparata.

Allo stesso tempo tutti i politici coinvolti in questo disastro totale abbandonavano la nave uno ad uno, dimettendosi a tempo di record e cercando di scaricare la patata bollente in mano al prossimo venuto.

Nel caos più totale l’unica consolazione era ricevere il supporto di tutte quelle persone che a votare Leave non ci avrebbero mai pensato; essere testimoni del loro sgomento – forse più grande del nostro – ed assistere alla nascita di idee tanto assurde quanto geniali (come la proposta di rendere Londra città indipendente e parte dell’UE).

Ad oggi, qualche settimana dopo l’inizio di una nuova epoca storica, regna ancora la confusione: il prossimo Primo Ministro sarà probabilmente ancora più difficile da digerire di quanto non lo fosse Cameron, il Paese non è più dentro ma neanche completamente fuori l’Unione, le famiglie sono divise (perché i figli pro-Europa hanno scoperto di avere genitori tendenzialmente reazionari e ottusi), l’economia è alla deriva e il futuro di migliaia di persone è appeso ad un filo.

Cosa ne sarà di questa situazione non è dato saperlo ma una cosa è certa: per l’ennesima volta nella storia dell’Umanità abbiamo avuto la triste dimostrazione di quanto le crisi economiche e politiche che dimenticano di considerare tutte le fette della società portino a rigurgiti di razzismo, xenofobia e nazionalismo.

Tre fenomeni a cui abbiamo già assistito e che speravamo di aver buttato dietro le spalle.
Speravamo.

Andrea Calò

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