Chi erano gli Jeckes?

“C’è una grande differenza fra gli ebrei di origine tedesca che vivono in Israele e quelli che vengono da altri paesi. Gli ebrei sono ebrei e gli Jeckes sono Jeckes” (Nachum Tim Gidal).

E’ proprio da questa dichiarazione identitaria che muovono le principali domande di questo articolo: chi erano gli Jeckes? Quali i loro rapporti con la Germania e quali con la Palestina? Quali sono i tratti più importanti che costituiscono la loro identità?
Dalle parole di Nachtum Tim Gidal , nato a Monaco nel 1909 ed emigrato in Palestina nel 1930, sembra trasparire chiaramente una particolare consapevolezza nonché una forte rivendicazione della propria origine che lo distinguerebbe radicalmente sia dal resto dei migranti sia dagli originari abitanti della sua nuova terra.
Ma quali sono i tratti distintivi, la scala di valori, la storia, le particolarità, insomma la visione del mondo di questa specifica categoria di tedeschi?

Per rispondere a queste domande partiremo dalla definizione del termine in questione.
Con Jeckes si intendono gli ebrei di origini tedesca che si sono stabiliti in Palestina fra il 1933 e i primi anni della seconda guerra mondiale per sfuggire alla politica del nazionalsocialismo. Per citare alcuni dati statistici nel 1933, anno in cui Hitler salì al potere, gli ebrei tedeschi in Germania erano circa 530.000, ma prima dello scoppio della seconda guerra mondiale circa 55.000 riuscirono a trovare rifugio in Palestina. Alcuni di loro venivano da famiglie ebraiche che si erano stabilite in Germania ormai da generazioni, altri invece costituivano la prima generazione di ebrei tedeschi poiché i loro genitori si erano trasferiti in Germania dall’Europa dell’est.
Il termine Jeckes venne infatti attribuito non solo ai tedeschi, ma anche a chi era originario di altre zone dell’Europa orientale e centrale. Oggi troviamo infatti in Israele numerosi ebrei di origini ceche, ungheresi, ucraine e provenienti da altri paesi la cui storia si è intrecciata con la cultura e con la lingua tedesca, che si definiscono come Jeckes.
Sono varie le denominazioni che identificano gli ebrei emigrati in Palestina a seconda del loro paese di provenienza: per gli ebrei sefarditi si usa l’appellativo Fraenk, per la donna polacca la definizione Polnische Dripke, gli ebrei provenienti dalla Galizia vengono chiamati galizianische Diebe mentre agli ebrei tedeschi viene accostato appunto il termine Jeckes.
Andando poi a scandagliare l’origine etimologica di quest’ultimo singolare e curioso vocabolo, si vedrà che la sua origine è dubbia e sfuggente, e che ha dunque scatenato una vera e propria discussione filologica fra gli studiosi.

Secondo alcuni esso deriverebbe dalla parola tedesca Jacke (= giacca) ed esprimerebbe una certa ironia nei confronti di quegli ebrei che, rifiutandosi di indossare la tradizionale gonna ortodossa, continuavano a portare una giacca corta nonostante il clima mediorientale. Oltre alla già notata ironia, dietro tale etimo si scorgerebbe anche un’accezione lievemente dispregiativa verso questa ostinazione a non abbandonare gli usi e costumi tipici della Germania e dunque all’incapacità di adattarsi ad un nuovo contesto.
Ancora più maligni inoltre quelli che interpretano il termine Jeckes come l’acronimo dell’espressione ebraica Jehudi Kasche Hawana traducibile come “ebreo duro di comprendonio” o “ebreo privo di ingegno”.
Un’ ulteriore etimologia lega l’origine della parola Jecke al carnevale renano, poiché l’organizzatore di tale  manifestazione è chiamato Geck. Quest’ultimo termine veniva usato in modo interscambiabile con il vocabolo Jeck. Tale associazione può anche essere connessa al significato di Geck come giullare da cui deriva anche il significato della figura del “Joker” nel gioco delle carte. Anche se persistono molto dubbi sull’originario significato del lemma in ebraico, è noto che la parola circolasse nei pressi della città di Colonia con il significato di “clown” o di “buffone”. Anche dietro questa ricostruzione etimologica si celerebbe dunque un valore canzonatorio e burlesco.

E’ evidente che, qualsiasi origine si intenda attribuire al termine in questione, ad esso si conferisca in ogni caso un’accezione negativa o quantomeno di carattere ironico e derisorio che poteva essere usata addirittura in modo offensivo e discriminatorio.
Soprattutto nei primi anni del loro soggiorno in Palestina infatti gli ebrei tedeschi incorsero spesso nell’essere etichettati negativamente come poco ironici, ostinati, incapaci di intendere facilmente le situazioni, poco flessibili e per nulla capaci di gestire i cambiamenti. Fra gli esempi si potrebbe ricordare la già citata rinuncia ad abbandonare la giacca nonostante il clima inadeguato, oppure la tendenza ad essere sempre molto precisi e puntuali.
Se da un lato dunque il termine Jeckes condensa in sé tutti questi aspetti piuttosto negativi, dall’altro esso veniva usato anche per indicare una certa precisione, una spiccata puntualità ed infine una notevole affidabilità.
Insomma, il significato attribuito al termine Jecke non fa altro che sintetizzare l’immagine, decisamente stereotipata, di un comportamento avvertito come tipicamente tedesco.

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Nonostante i pregiudizi e le stigmatizzazioni, questa particolare categoria si dimostra essere fortemente legata alla propria identità che tende a restare solida e ben definita nonostante il processo migratorio.
Gli Jeckes formano infatti un gruppo compatto all’interno della società prima ebraico-palestinese poi israeliana, tanto che si potrebbe addirittura parlare di una subcultura.
Gli Jeckes grazie al loro comportamento bizzarro e di certo originale, sono facilmente diventati oggetto, oltre che di pregiudizi e di immagini stereotipate, di sarcastiche e taglienti barzellette delle quali seguono alcuni esempi:

  • Un ebreo residente in Palestina ormai da diverso tempo chiede ad uno che invece vi si è appena trasferito: “Lei è qui perché è mosso da convinzione ideologica o si è mosso dalla Germania?”
  • [probabilmente si tratta di un episodio realmente accaduto]
    Una famiglia vince un frigorifero elettrico ad una lotteria. Si tratta di un elettrodomestico molto moderno e raro per quegli anni. Il frigorifero venne spedito con un furgone da Tel Aviv fino a Naharia nel nord del paese ed arrivò alle due del pomeriggio a casa della fortunata famiglia (ebrei tedeschi emigrati in Palestina). Quando l’autista del furgone suonò il campanello, la padrona di casa, dopo aver aperto la porta in vestaglia, rifiutò di accettare il frigorifero poiché le due del pomeriggio costituivano l’orario di riposo della giornata in cui non era permesso disturbare.

E’ interessante notare che quella che era stata in origine un’espressione offensiva ha poi con il tempo assunto un’accezione positiva tanto che  gli Jeckes oggi si identificano pienamente con questa denominazione dimostrando quindi una certa autoironia.
La parola Jecke è dunque un’etichetta elastica che sintetizza valori, aspetti e sfumature insieme positive e negative.
Oltre alla già citata rigidità, precisione e puntualità, un altro elemento caratterizzante degli Jeckes è il loro profilo linguistico. Essi infatti ebbero molte difficoltà ad imparare l’ebraico che quasi rifiutavano con un certo snobismo. Alcuni fra gli emigrati più anziani non impararono mai la lingua e ancora oggi ci sono membri della comunità le cui conoscenze dell’ebraico sono ancora molto scarse e rudimentali. L’ebraico ed il tedesco sono infatti due lingue molto diverse fra loro: l’una è una lingua semitica, l’altra indoeuropea. A complicare la situazione c’è anche da considerare l’uso di due alfabeti diversi: da un lato l’abjad, dall’altro quello latino.
Gli Jeckes continuano invece a dominare perfettamente la lingua tedesca, che resta senz’altro la loro lingua madre e alla quale si attribuisce il valore ed il prestigio di una grande cultura letteraria, poetica e filosofica.
Il tedesco parlato degli Jeckes ci appare come una lingua estremamente corretta e normalizzata, che sembra essere quindi quasi più vicina alla scrittura che non all’oralità. Tale particolare profilo linguistico, privo delle innovazioni del tedesco contemporaneo, è stato accostata da alcuni studiosi come una lingua vicina al tedesco risalente alla Repubblica di Weimar.
Nonostante le difficoltà degli ebrei tedeschi nell’apprendimento dell’ebraico, gli Jeckes ebbero però curiosamente un ruolo importante nello sviluppo del giornalismo israeliano. Fra i diversi editori, reporter e critici tedeschi basti ricordare Gershom Schocken, il proprietario del quotidiano ebraico Ha’aretz.

Abbiamo fino ad ora delineato l’etimologia, le principali caratteristiche comportamentali, gli usi e i costumi e le particolarità linguistiche degli Jeckes, ma quale era il loro profilo sociale?
Sintetizzando si può affermare che essi non appartenevano ad una classe sociale specifica poiché non è possibile collocarli né al vertice né alla base della piramide economica. Si tratta dunque in linea di massima di una classe media accomunata però da un alto livello di istruzione. La maggior parte degli ebrei tedeschi al momento dell’arrivo in Palestina era in possesso un titolo di studio medio o superiore ed una gran parte di loro disponeva addirittura di un titolo accademico.
L’identità culturale degli Jeckes apparteneva al mondo urbano mitteleuropeo ed i migranti cercarono in ogni modo di riottenere la stessa posizione sociale e lo stesso stile di vita che avevano raggiunto nel paese di origine. Molti portarono con sé quegli oggetti che avevano costituito la realtà delle loro case in Germania: numerosi libri di letteratura tedesca (molti dei quali furono proibiti e bruciati dai nazisti), eleganti mobili di mogano, pianoforti, grammofoni, quadri ed i più ricchi arrivarono addirittura con le loro eleganti automobili.
Per quanto riguarda l’età anagrafica degli Jeckes si data che essi erano più o meno fra i 26 ed i 45 anni nell’anno in cui Hitler salì al potere ed avevano dunque la stessa età o pochi anni di più nel momento dell’arrivo in Palestina.
Oggi dunque questa prima generazione di Jeckes sta lentamente scomparendo, solo pochi di loro sono ancora in vita e le nuove generazioni sembrano essere sempre meno legate al passato e sempre più inserite nel nuovo contesto israeliano. Anche la vitalità della comunità ebraico-tedesca sta ormai tramontando, i patrimoni bibliografici vengono progressivamente svenduti e le tipiche abitazioni degli Jeckes a Tel Aviv sono già sotto la protezione dell’UNESCO.
Attualmente assistiamo dunque ormai ad un processo di fusione fra la cultura ebraico-tedesca e quella israeliana. Anche se alcune iniziative culturali sono ancora attive, come ad esempio il quotidiano in lingua tedesca o gli incontri fra i membri delle associazioni degli ex cittadini di Amburgo, Francoforte o Berlino, le nuove generazioni si identificano ormai come israeliani e non più come tedeschi.

Volendo in conclusione fornire una sintetica definizione, con il termine Jeckes si intendono, con una certa sfumatura ironicamente spregiativa, gli ebrei tedeschi immigrati in Palestina a partire dagli anni trenta. Tale etichetta condensa in sé una serie di valori e di caratteristiche ambivalenti quali rigidità e chiusura, ma anche puntualità, precisione ed affidabilità. Infine un altro centrale elemento che identifica un Jecke è il suo essere di madrelingua tedesca ed il suo rifiuto, o quanto meno la sua difficoltà, ad applicarsi nell’apprendimento dell’ebraico.
Gli Jeckes in quanto migranti, possono essere dunque definiti come delle figure di confine, il cui profilo identitario è il frutto del contatto fra due mondi radicalmente differenti: da un lato l’ormai decadente scenario mitteleuropeo, alle soglie della seconda guerra mondiale, dall’altro invece il medio oriente, agli albori dell’imminente nascita di un nuovo stato.

Maria Francesca Ponzi

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