25 APRILE, LA FESTA DI TUTTI

Il 25 aprile si festeggia la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Liberazione per la quale hanno lottato migliaia di uomini e donne, vecchi e giovani, spesso pagando con la propria vita, pur di vedere l’Italia libera dagli invasori e i loro desideri e ideali realizzati.

Ce lo hanno ricordato, alla manifestazione svoltasi a Roma organizzata dall’ANPI, i due partigiani saliti sul palco a raccontare la propria storia, un uomo novantacinquenne e una donna di poco più giovane; lo hanno fatto partendo dalle loro origini, umili contadini, operai o madri di famiglia, che hanno fatto una scelta di vita ben precisa. Anche i semplici gesti, ospitare un soldato fuggiasco che bussava alla porta, dividere il pane con chi non ne aveva, sono state tessere piccole ma significative di una decisione pericolosa, ma sentita come un dovere morale prima ancora che politico. E’ la scelta di correre un rischio, rinunciare alla propria sicurezza, o alla possibilità di non vedere, o far finta che nulla stesse accadendo, per schierarsi attivamente dalla parte che si riteneva giusta. Le loro mani tremanti durante il discorso pronunciato a Porta San Paolo, la voce carica d’emozione, l’enfasi coinvolgente, hanno raccontato più delle parole. Parole che, però, non sono mai superflue, e vanno ascoltate, raccolte e tramandate, oggetto prezioso destinato a scomparire. Vanno narrate a chi, con altre bandiere o con fare provocante, cerca di infangare il giorno del 25 aprile, giorno unico per la storia della nostra Italia. E’ dovere di ognuno fare in modo che questa memoria non scompaia.

Tra coloro che hanno lottato per la Liberazione dell’Italia, a fianco dell’esercito alleato, c’era la Brigata Ebraica, un’unità combattente a molti ancora oggi sconosciuta. Ne facevano parte ebrei di origine europea che vivevano in Palestina allora sotto mandato britannico, e prima ancora dalla Polonia, dalla Germania, dall’est Europa e dall’Italia stessa.

“So benissimo che c’è già un gran numero di ebrei nelle nostre forze armate e in quelle americane; ma mi è sembrato opportuno che una unità formata esclusivamente da soldati di questo popolo, che così indescrivibili tormenti ha dovuto patire per colpa dei nazisti, fosse presente come formazione a sé stante fra tutte le forze che si sono riunite per sconfiggere la Germania” è parte del discorso pronunciato da Churchill al Parlamento inglese il 29 settembre 1944. Nasce così la Brigata Ebraica e utilizza dei suoi stemmi e una bandiera distintiva, a righe verticali bianche e azzurre, con una stella di David al centro di colore giallo, bandiera che, solamente in seguito, sarebbe stata d’ispirazione per la creazione della bandiera dello stato d’Israele nel momento della sua proclamazione, nel 1948. Ancora più sconosciuta è in Italia la storia di uno dei comandanti della Brigata Ebraica, Enzo Sereni (Roma 1905 – Dachau 1944), italiano cresciuto con un’educazione politica prima e antifascista poi, che decide, in giovane età, di trasferirsi con la moglie in Palestina in cui fu ideologo e sionista militante, socialista e attivista, e fondò uno dei kibbutzim più grandi: Givat Brenner. Durante la guerra Enzo Sereni si impegnò con l’intelligence inglese e con il Mossad, si fece poi paracadutare in centro Italia, ancora sotto l’invasione occupazione nazista, dove fu catturato, arrestato, deportato a Dachau e ucciso. Diverse opere raccontano la sua gloriosa storia, “Enzo Sereni” della giornalista israeliana Ruth Bondy, e la testimonianza della sua vedova, Ada Ascarelli Sereni, che dopo la sua morte divenne un’attiva sostenitrice dell’emigrazione clandestina in Palestina, Aliah Beth, raccontata ne “I clandestini del mare”. Ada, responsabile del settore italiano, riuscì a far arrivare in Israele quasi 25 mila ebrei negli anni tra il 1945 al 1948. Oggi in Israele un kibbutz porta il nome di Enzo: “Netzer Sereni”, il germoglio di Sereni.

Queste storie, spesso dimenticate, raccontano perché è importante che il 25 aprile, in piazza insieme ai partigiani, sfilino anche le bandiere della Brigata Ebraica, parte attiva nella liberazione dell’Italia. Una piazza che deve essere unita tutta da un ideale comune: l’antifascismo.

Questa non vuole essere una lezione di storia, ma un invito alla lettura; un invito a chi, troppo spesso, si prende uno spazio, inadeguato, per portare avanti battaglie – giuste o ingiuste che siano – nel momento meno opportuno.

Il 25 aprile deve essere ricordata come la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. E’ la data che ogni italiano deve avere impressa nella mente, e nel cuore, come la vittoria di donne e uomini che hanno dato la loro vita per salvare l’Italia dall’orrore che stava vivendo.

E’ quindi una vergogna che qualsiasi altro tipo di campagna o propaganda politica venga fatto nel nome del 25 aprile e della Liberazione, è un insulto alla piazza e alla memoria delle persone che per salvare l’Italia hanno dato la propria vita. La piazza dovrebbe essere sgombera di simboli e bandiere che con la Liberazione dell’Italia hanno ben poco in comune.

Il 25 aprile è la festa di tutti perché si ricorda la Liberazione dal nazifascismo, e l’antifascismo è uno dei valori fondamentali e pilastro della nostra Costituzione. Proprio nel “Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza” Piero Calamandrei diceva “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati.
Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità della nazione, andate là, o giovani, col pensiero, perché là è nata la nostra costituzione.”

E’ questo l’invito che mi sento di fare: leggere, studiare, viaggiare, scoprire, ascoltare, tollerare, raccontare e tramandare…

Susanna Ascarelli

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