In viaggio con JCall

In una delle prime riunioni di Haviu et Hayom, che si teneva proprio quando nasceva Jcall Italia, ci siamo trovati a discutere riguardo a una nostra eventuale adesione a tale associazione; ad accomunarci vi era l’auspicio di una risoluzione del conflitto israelo-palestinese sotto il motto “due popoli due stati”. Personalmente, ero tra quelle che promuovevano  l’adesione collettiva a Jcall, la maggioranza ha preferito però rimanere indipendente. Ho così continuato a partecipare assiduamente agli incontri di Haviu e contemporaneamente a seguire attraverso il web le iniziative di Jcall. Solo quest’anno ho avuto finalmente l’occasione di conoscere dal vivo chi fossero gli autori delle tante dichiarazioni grazie alla proposta di un viaggio in Israele e nei territori palestinesi. Accertatami che ci fosse almeno qualche altro giovane disposto a partire con me (temevo l’età media e, a posteriori,  non sbagliavo!) mi sono prenotata.

Al mio rientro posso dire di essere davvero soddisfatta del viaggio intrapreso. Abbiamo ascoltato tutte, o quasi, le voci del conflitto: i palestinesi, gli arabi israeliani e gli israeliani tra cui anche gli abitanti degli insediamenti. Dai primi, incontrati in un centro culturale di Ramallah, abbiamo sentito parlare di un ritorno  dei rifugiati finalmente definito solo simbolico: sanno bene che non torneranno nelle loro case di Haifa o Zfat, pur avendone conservato le chiavi. Sarà lo Stato Palestinese ad accoglierli se vorranno. Alquanto confortanti sono risuonate queste parole, le quali sottintendono un riconoscimento dell’esistenza e dei confini dello Stato d’Israele. Certo abbiamo ascoltato solo palestinesi moderati quali Sam’an Khoury , coredattore dell’iniziativa di Ginevra;  da un esponente di Hamas non c’è dubbio che non avremmo sentito gli stessi discorsi.

Ryad Kabba, direttore del centro per la pace di Givat Haviva, centro di coesione arabo-ebraico situato a Nord Est di Tel Aviv, ci ha raccontato di quanto sdoppiata e scissa sia l’identità degli arabi israeliani: si augurano la nascita di uno Stato Palestinese, ma vogliono restare in Israele partecipando attivamente alla vita politica del paese, come è avvenuto recentemente in occasione delle manifestazioni sociali innescatesi per l’aumentato costo della vita. Kabba ha concluso il suo discorso riassumendo scherzosamente lo spaccato della società israeliana con la frase “Am Israel haim, drusim shomrim, aravim bonim”: gli Ebrei vivono, i Drusi difendono, gli arabi costruiscono.

Momento di sconforto è stata la visita a Gush Etzion, insediamento nei dintorni di Gerusalemme, dove abbiamo potuto dibattere con alcuni abitanti. Ci tengo a raccontare che siamo stati attentamente ad ascoltare ciò che avevano da dirci e che quando qualcuno ha mostrato segni di disapprovazione è stato subito rimproverato dagli organizzatori del viaggio e dalla maggior parte dei partecipanti. L’idea comune che è emersa dai loro discorsi è che vogliono uno stato unico, in cui i palestinesi non possiedano il diritto di voto, “Non possiamo mica trovarci ad avere un primo ministro palestinese!”. “Se vogliono un loro stato se lo vadano a creare in Giordania non qui”, “Noi da qui non ci muoviamo”, queste le loro tesi.

Fortunatamente però c’è chi in Israele è riuscito a farci sentire la speranza. C’è Nitzan Horowitz che abbiamo incontrato durante la visita alla Knesset, parlamentare appartenente al partito Meretz, nelle cui parole mi sono riconosciuta al cento per cento. C’è Ygal Palmor, portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, che ci ha fatto notare che un vento di cambiamento si affaccia sullo scenario israeliano: la telefonata ad Erdogan di Netanyahu, la proposta della Lega Araba;  “Si arriverà alla creazione di questo Stato palestinese, siamo sulla buona strada se saremo intelligenti” dice.

E qui mi rivolgo a coloro che hanno sostenuto che questo viaggio fosse da boicottare prima ancora della partenza, a quelli che pensano che i firmatari di Jcall non dovrebbero essere considerati ebrei; l’appello di Jcall si discosta davvero così tanto dalle dichiarazioni di Ygal Palmor?

 Noemi Di Segni

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