Memoria pret à porter

Non riesco ad astenermi dal giudicare l’articolo uscito su “Il Giornale” il 27 gennaio 2012, firmato dal direttore Alessandro Sallusti.

L’articolo merita attenzione in quanto è stato pubblicato in occasione del sessantasettesimo anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz, ma fa mostra di considerazioni e riflessioni e, più complessivamente, di una forma mentis, che non sembrano aver elaborato quale sia il significato del 27 Gennaio 1945. Con l’aggravante di voler far passare l’articolo come un omaggio alla giornata della memoria.

 

L’editoriale del direttore di un quotidiano, si sa, è uno dei pezzi che fa sicuramente la prima pagina, ma anche il giornale intero, per questo è ricoperto di una certa importanza: non passerà di certo inosservato. Dunque chi decide di firmare l’editoriale ha delle responsabilità, come del resto ogni giornalista le ha.

 

Sallusti, in occasione della Giornata della Memoria, decide di dare una risposta sulle pagine del suo Giornale al settimanale tedesco “Der Spiegel” che ha usato toni affatto gentili per parlare del popolo italiano, che sarebbe un popolo di “mordi e fuggi”. Insomma un “popolo di Schettino” e per questo l’Europa e l’euro sarebbero in crisi.

Invece il popolo tedesco, che è una razza, certi errori non li compie, nella crisi economica che attanaglia l’Europa , non ci cade.

Sicuramente la rivista tedesca ha perso di vista due o tre valori: ad esempio quello dell’inesistenza della “razza”. In più sembra non avere una cognizione storica ben fondata di Europa, di cui è bene ricordare che l’Italia fu uno dei primi paesi fondatori (Manifesto di Ventotene 1940), ponendo la propria eredità culturale antifascista e democratica come caposaldo per tutti gli altri paesi dell’area che stava vivendo il conflitto.

 

Compresi gli antefatti, è interessante spiegare l’epilogo italiano. Sallusti, infatti, volendo far giustizia al suo Paese, oltraggiato, offeso, insultato, intraprende la strada di una dialettica spicciola, veloce,immediata e per questo inefficace: un vero confronto avviene quando i protagonisti del dibattito si scambiano contenuti non a forza di slogan, ma mettendo in scena le proprie posizioni, portatrici di soggettive verità.

Qui Sallusti anziché rispondere al collega tedesco a colpi di storia, si concede a un gioco di comparazioni che hanno poco a che fare tra loro e manifestano deliberatamente la loro inopportunità: “È vero, noi italiani alla Schettino abbiamo sulla coscienza una trentina di passeggeri della nave, quelli della razza di Jan Fleischauer (autore dell’articolo) di passeggeri ne hanno ammazzati sei milioni.

E di qui è un crescendo, si passa a parlare di quanti Ebrei gli italiani hanno salvato, come non fossero stati loro stessi a sostenere il regime fascista. Ma attenzione! In più, quando si parla di italiani che salvarono dalle persecuzioni gli ebrei, ovviamente Sallusti se ne guarda bene dal citare i nuclei della Resistenza, limitandosi al ricordo del singolo Giorgio Perlasca.

 

Quel che si verifica in quest’editoriale, segue una tendenza molto pericolosa che facilmente si insinua nella nostra società, per questo credo abbia sollevato molteplici polemiche.

Le polemiche infatti non sono state sollevate solo per il fatto di mascherare l’atteggiamento del popolo italiano con quello di un popolo innocente e immacolato, ma anche perché con troppa leggerezza si è andati a mettere sulla stessa bilancia due realtà diverse e lontane tra loro. E non perchè la Shoà sia qualcosa di intoccabile e dogmatico, bensì perché entra a far parte della Storia e in quanto tale non si può prestare a un dibattito che non ne rispetti la sua natura storica.

E’ l’atteggiamento del giornalista Sallusti ad essere senza criterio: a chi addebita a un carattere italiano la crisi economica che stringe l’Europa, sarebbe stato opportuno rispolverare altri fatti storici, che potessero essere rivelatori di cosa il “carattere italiano” ha fatto per l’Europa al momento della sua nascita, del ruolo di ideatrice e fondatrice che la nostra nazione ha avuto.

Perchè mettere in mezzo i sei milioni di vittime in un banale gioco di “chi sbaglia di più”? Dietro, purtroppo, io rintraccio un atteggiamento politico, di chi strumentalizza la storia volendo ricordare ciò che è più utile(per la propria parte politica), e non ciò che è giusto. E rivisitare la Storia è come oltraggiarla. Credo sia un atto di ingiustizia, più di ogni altra cosa. Ingiustizia perché si induce a un errato ricordare, ingiustizia nei confronti di ciò che è stato, poiché si induce a una ricostruzione truccata e manipolata di ciò che fu.

No, la Shoà non è un errore dei tanti che popolano la storia, è un’eredità che ognuno di noi ha il compito di tutelare, alzando la voce quando accadono episodi come questo. Perché un articolo come quello di Sallusti potrebbe abituare i lettori a considerare Auschwitz come un dato, un evento da tirare in ballo in diatribe tra colleghi. Si tratta di una svalutazione della portata storica dell’evento che a lungo andare potrebbe portare a pericolosi effetti.

A distanza di sessantasette anni, il fare memoria è diventato questo: essere sempre all’erta , individuare quando la memoria viene messa in atto nella maniera sbagliata, individuare quei meccanismi, anche quelli che si mascherano bene, che minacciano il buon funzionamento del ricordo. Ricordare oggi, vuol dire sorvegliare affinché nelle nostre società non avvengano evidenti episodi di oltraggio, ma non si verifichino anche episodi più subdoli, che diversamente, in maniera indiretta, potrebbero inquinare, confondere i confini di ciò che è stato e di ciò che deve essere oggi, nel presente, la Shoà.

Gaia Litrico

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