Alcuni l’hanno definita una svolta storica ed epocale, altri invece la vedono come l’inizio della fine.
Qualunque siano le posizioni a riguardo, la decisione di domenica scorsa dell’esecutivo Netanyahu di iniziare la costruzione, al Kotel di Gerusalemme, di una zona mista, in cui tutti, indipendentemente dal genere, potranno pregare, è certamente una di quelle notizie destinate ad alimentare lunghe e difficili discussioni nel mondo ebraico.
Il progetto, i cui lavori non inizieranno prima di alcuni mesi, prevede che la nuova sezione, grande circa 900 mq, venga inaugurata nel lato meridionale del Muro, dove adesso vi è un parco archeologico voluto dall’ex ministro per gli affari religiosi Naftali Bennet. Il piano, frutto di lunghe e difficili negoziazioni, prevede che la nuova sezione avrà anche lo stesso ingresso delle due già esistenti(dove invece vige una chiara divisione dei sessi) e godrà di pari visibilità.
Il perché delle moltissime discussioni e polemiche è chiaro e presto detto: si tratta di una decisione che rompe il monopolio ortodosso sugli affari religiosi, riconoscendo di fatto diverse voci in capitolo.
Il gruppo “Le donne del Muro”, legate all’ebraismo riformato e principali artefici di questa svolta, hanno infatti ottenuto che la nuova sezione non sia controllata dagli ortodossi come le altre:
Rav Shmuel Rabinowitz, attualmente custode del Muro del Pianto, non controllerà quindi l’area conosciuta come “upper plaza” e situata al di fuori delle zone ufficiali per le preghiere. Tra le conseguenze concrete, tra le altre, vi è il fatto che d’ora in poi sarà quindi possibile tenere nell’area designata cerimonie pubbliche dove uomini e donne potranno sedersi insieme e dove le donne avranno la possibilità di cantare le varie preghiere.
I termini del nuovo accordo prevedono che la zona riceva finanziamenti governativi e operi sotto la gestione di una commissione comprendente rappresentati del Governo, dei movimenti Conservative e Reform, dell’Agenzia Ebraica, delle Federazioni ebraiche del Nord America e del gruppo Women of the Wall.
Definendo la decisione “rivoluzionaria”, Rav Gilad Kariv, direttore esecutivo del movimento Reform in Israele, sottolinea come questa sia la prima volta che il governo israeliano garantisce un riconoscimento ufficiale a movimenti religiosi pluralisti. “Una volta per tutte, il Governo ha messo fine al monopolio ultra-ortodosso del Kotel, e ha stabilito che nel luogo più sacro per il popolo ebraico ci possa essere più di un modo per pregare e legarsi alla tradizione ebraica”.
In un comunicato congiunto, i leader del movimento mondiale Conservative si sono detti “eccitati di vedere come i nostri sforzi si traducano finalmente in un riconoscimento della diversità e della natura pluralista del popolo ebraico, così come della legittimazione oggi ottenuta dalle correnti Conservative e Reform.”
Ma se da un lato si levano voci ed opinioni entusiaste, non mancano, come sempre in questi casi, le parole di chi invece è contrario a questo cambiamento e alle sue ovvie implicazioni teoriche.
Proprio Rav Shmuel Rabinowitz, responsabile del Kotel, ha dichiarato immediatamente: “La profanazione del nome di Dio che questo gruppo (Donne del Muro, ndr) e i suoi supporter stanno causando è terribile, serviranno anni per porvi rimedio”. “In generale le preghiere, e al Kotel specialmente, devono essere eseguite in accordo con l’Halakhà (la legge religiosa ebraica, ndr) e con le tradizioni ebraiche che si sono tramandate di generazione in generazione”. “Il Kotel continuerà ad essere aperto ad ogni devoto, uomo o donna, ad ogni ora di ogni giorno, con rispetto e devozione alla tradizione ebraica e alla sua eredità, di cui il Muro del Pianto è assoluto simbolo”.
A complicare ulteriormente un dibattito ingarbugliato e delicatissimo, va sottolineato come il nuovo accordo non proibisca esplicitamente alle donne di indossare il Tallit o i Tefillin nella zona tradizionale, (quella cioè in cui vige la separazione tra uomini e donne ed un rito ortodosso) nemmeno quando sarà attiva la nuova sezione del Muro.
Stabilisce però che nelle due sezioni che rimarranno sotto controllo ortodosso, le regole circa le preghiere verranno dettate dall’interpretazione ortodossa della Halakhà e dagli “usi locali” così come intesi dal Rabbinato centrale.
Poiché questi termini sono aperti ad interpretazione all’interno del movimento Ortodosso, non è ancora chiaro se le donne potranno continuare ad indossare Tallit e Tefillin, pratica totalmente rigettata dagli ortodossi, anche quando pregano nella sezione esclusiva per le donne, come le attiviste di “Donne del muro” hanno fatto fino alla recentissima decisione dell’Esecutivo israeliano.
In una nota, il gruppo Donne del Muro ha dichiarato che il nuovo piano per il sito è “il primo passo per la completa uguaglianza femminile al Kotel, il luogo più sacro dell’ebraismo e fondamentale spazio pubblico in Israele”. Il gruppo ha anche dichiarato che la creazione di una terza sezione “egualitaria” del muro “pone in essere un forte precedente per lo status delle donne in Israele: donne come amministratrici di un luogo sacro, come leader, come una forza influente impossibile da ignorare o silenziare”.
Di contro però, una delle leader del gruppo, Shulamit Magnus, staccatasi dal movimento e fondatrice del gruppo “Original Woman of the Wall”, ha dichiarato apertamente di non avere alcuna intenzione di abbandonare la sezione esclusivamente femminile: “non vogliamo prendere nessun ordine dal Gran Rabbinato su come dobbiamo pregare”.
Ad esprimere grandi riserve è stata anche Dr. Hannah Hashkes, membro dell’Executive Commitee dei rabbini del Beit Hillel, un gruppo ortodosso progressista: “è molto positivo che le autorità finalmente capiscano che c è più di un tipo di ebreo nel mondo, ma questo accordo non garantisce nessuna soluzione per le donne ortodosse che vogliono continuare a pregare nella zona esclusivamente femminile ma non in maniera ultra-ortodossa”. “Inoltre, il Kotel dovrebbe essere un luogo sacro unico per tutto il Popolo ebraico, mentre un simile accordo lo trasforma in un insieme di sinagoghe diverse per diversi movimenti.”
Moltissimi i punti di vista quindi, e sebbene siano moltissime le sensibilità coinvolte ed il dibattito sia spesso oltremodo acceso, è lecito pensare come una simile situazione, con tutti gli sviluppi che potrà avere e le discussioni che inevitabilmente nei prossimi mesi ci saranno, abbia il merito di sollevare un argomento, quello del pluralismo ebraico, troppo spesso visto come marginale o meramente politico, un dibattito avvisato spesso come un fastidio piuttosto che una reale e stupenda possibilità di crescita per un mondo, quello ebraico, ed un paese, Israele, la cui linfa vitale sono proprio le moltissime anime, fortunatamente diverse e a volte troppo lontane, da cui sono composti e di cui si nutrono quotidianamente.
Enrico Campelli